IMPORTANTE:
CON QUESTO POST NUMERO 100 VI COMUNICO CHE IL BLOG SI TRASFERISCE,
POTRETE CONTINUARE A LEGGERMI AL SEGUENTE INDIRIZZO:
www.federicotabellini.wordpress.com
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Una mano stanca arranca verso una méta sconosciuta
uno sguardo in cerca d’un riferimento nell’oscurità assoluta
e l’incendio squarcia il velo del silenzio e inonda il mondo!
e poi luce fragorosa a scuotere ogni cosa nel profondo!
Con repentina forza acceca la coscienza la visione
colpendo come un pugno l’attenzione
Infine il tocco – un click – di suono e sogno mietitore
e il sole alla finestra ad annunciar l’ennesimo chiarore.
Quando avrà analizzato ogni singolo granello d’umanità nell’Uomo, cosa sarà rimasto dell’Uomo?
Quando avrà posto ogni quadro dietro una teca di vetro cosa sarà rimasto dell’arte?
Definendo, classificando, analizzando l’umanità si uccide l’umanità.
Definendo, classificando, analizzando l’arte si uccide l’arte.
Quando ti avvicini, le imperfezioni appaiono chiare, ma la visione sbiadisce: un quadro impressionista a un palmo dal naso.
Quando socchiudi gli occhi e spegni la luce, le immagini fluiscono e i sogni si trasformano in meraviglia: un insight d’ispirazione mentale e sensoriale.
Armato di lente d’ingrandimento e vocabolari appone etichette: e così definisce la visione e ne distrugge la bellezza. Spargendo macerie storiografiche e trattati la seppellisce di didascalie.
Perché chi apprezza veramente non comprende quasi nulla. E chi comprende completamente non apprezza davvero.
Una pozza d’acqua mossa dal vento sotto un cielo senza stelle: non disturbare la quiete! non intralciare il movimento!
Ma sono milioni, e accendono la luce e imbottigliano l’acqua, ci appiccicano sopra una marca colorata e sostengono che nuvole e brezza abbian creato la bottiglia. Sic transit gloria mundi. Cincìn.
Affascinante, elegante, brillante, luminoso, intrigante, lucido e molto, molto altro!
Tu corri, t’informi, ascolti, acquisti, insegui, speri. Strattoni il dopo nel presente.
Il tempo. E ancora. Una routine. Forse lo vedi o forse no. Lì fuori, guarda, ma ciò che è dentro lo cambia, lo rende importante.
O dentro, e ciò che è fuori è solo un pretesto, e potrebbe essere finanche un vecchio arnese, o una conchiglia.
Sei tu, comunque, ed io, e quasi tutti. Lo sai, è difficile sfuggirgli. La cella è troppo, troppo confortevole, ed ho paura di evadere.
Intanto gli innumerevoli altri supportan la speranza con unghie e lime. Ecco la chiave, fra denti e lingua, ma non so usarla.
Un muro separa due prigioni opposte e connesse. Una grande, immensa, e l’altra… Un bambino mi guarda e piange, o forse uno specchio nella pioggia.
Il muro diventa un giardino, e un verme si scava un’evasione al cielo mentre un merlo insegue il suo pasto.
La vita continua, e basta. Tutto qua.
Esistono varie strategie per conservare un segreto. Le principali sono: il silenzio di chi sa, la scarsa importanza dello stesso – che porta all’indifferenza e poi alla dimenticanza – e infine la sua eventuale natura improbabile. Nell’ultimo caso di solito chi conosce il segreto non si ingegna particolarmente a nasconderlo, consapevole che se pure la notizia venisse diffusa nessuno comunque vi crederebbe. I conigli-mentori-custodi sono, insieme al Santo Graal e alla ricetta dei “malfatti” di mia nonna, fra i più improbabili dei segreti… così questo blog esiste per due ragioni: perché loro esistono e perché voi non lo credete possibile.
Distacco. Aneddoto. Una volta un uomo con barba e cappello, sulla cinquantina e occhi stanchi, mi ha chiesto sull’autobus che ora fosse. “Una domanda del genere è passata dall’essere consueta all’essere inconsueta”, pensai. Era il 2008, o il 2009. Piccola città nel nord Italia. Chi continua a farla dopo l’anno 2000, imperterrito nel suo anacronismo, può suscitare sorpresa nel suo interlocutore. Guardai il cellulare. E’ ciò che il sociologo Goffman definiva “rompere il gioco delle aspettative” – ma le parole usate non erano queste -, lo stracciare il copione e l’uscire dal personaggio che in quella situazione-epoca-luogo è normale recitare. Forse quando avrò cinquant’anni, la barba e il cappello sarà normale chiedere a un ragazzo sull’autobus che ne pensa il suo coniglio del risultato delle elezioni comunali del 2040. Lui potrebbe rispondermi in modo naturale, magari un po’ annoiato, sicuramente sollevato del fatto che la domanda non verta sull’ora.
Filosofia. Riflessione sicuramente spiccia. Il segreto è una cosa da non dire in campagna elettorale, una verità scomoda. Il compito della politica è sostanzialmente separare le persone dai segreti, la tattica è di certo il silenzio di chi sa, e a volte convincere il pubblico che tutto sia alla luce del sole. Teorie del complotto: David Icke, i rettiliani, le scie chimiche, i malfatti di cui sopra, altre cose che ora-non-ricordo. Tentano di normalizzare il segreto. Il problema del segreto è che se non ne sei a conoscenza non sai se esiste. Può essere una perdita di tempo, o una rivoluzione.
Sogni. La gente li tiene nel cassetto. Lavora una vita per trasformarli in una realtà tangibile. A volte se ne vergogna e compra cassetti rinforzati, per trasformare i sogni in segreti. Strano: la vergogna passa quando il sogno diventa reale. E’ l’imbarazzo dell’immaginario.
Tangenziale. Perché tangenziale?
Obiettivi. Per ora imparare lo spagnolo, già che qui lo parlano (finestra sul reale). La biblioteca ha i tavoli di legno. Fuori alberi.
Ho visto la realtà
e aveva l’apparenza di una bimba stanca
col viso truccato da puttana
Ho visto la realtà
e accortasi del mio sguardo lei mi ha lanciato un’occhiata fredda
sputando a terra il suo disdegno
Ho visto la realtà
e dopo pochi istanti dalla saliva è cresciuta una pianta secca
e in ogni foglia impresso come un timbro un volto umano
Ho visto la realtà
e gli occhi della bimba adesso sorridenti,
ma di uno sorriso adulto, decadente
Ho visto la realtà
ma come un sogno la pelle ha iniziato a irrigidirsi
e le pupille a congelarsi
e il corpo a sigillarmi in una forma non più mia
Ho visto la realtà
e in quell’istante capovolto rispetto al mio consueto sguardo
innumerevoli foglie ho accompagnato in volo
ora lo so, incoscienti
verso un vorace cielo color terriccio.
Il tempo è trascorso ai margini del vecchio fiume
e dalla fonte lontana alla valle
nessuno ne ode più il nome…
eppure si porta quell’acqua in spalle
la polvere stanca di un’era passata
che ancora fra i flutti rammenta il dolore
sul volto dell’ultimo uomo in cravatta
che muore.
Gli avevo domandato più volte cosa fosse la normalità. Una cosa non comune da chiedersi a un coniglio che vive in un cappello, ne convengo, ma ormai ero abituato a quello strano compagno di discussioni, e la sua presenza non mi appariva più tanto assurda come un tempo.
Comunque, lui mi aveva sempre risposto, o per meglio dire quasi sempre – quando non era stato troppo impegnato a dormire o a sgranocchiare una carota – e la sua risposta era sempre stata differente. Una volta, ad esempio, mi aveva detto che la normalità è semplicemente “quello che le persone credono sia normale. Niente di più, niente di meno”; un’altra, aveva sostenuto che si trattasse in realtà della “mediocrità che la società ci impone come stile di vita dominante. Spezzare le catene di questa schiavitù simbolica è la sfida che distingue l’uomo comune dal genio!”. Questa in particolare me l’ero segnata, molto significativa davvero; o ancora: “è il mondo reale visto con le lenti della tradizione”; oppure: “è l’insieme delle più tremende menzogne, che la gente rende vere attraverso l’aggregazione di miriadi di opinioni false che vanno nella stessa direzione.”; ecc. ecc. ecc.
Infine, un pomeriggio di inizio dicembre, ovvero qualche giorno fa, mi diede questa ris… no, un momento, aspettate, fermiamoci un attimo qui. Rompiamo lo schermo e guardiamoci in faccia, io e te, lettore. A questo punto potresti pensare: a) che questa, come le precedenti, sia una storiella allegorica, e che i conigli parlanti non esistano affatto b) che io abbia un coniglio parlante immaginario come interlocutore, una sorta di psicosi filosofica c) che i conigli parlanti esistano realmente, e io sia uno di quei pochi privilegiati a cui rivolgono la parola.
Bene, ora ritorno da questa parte dello schermo, senza svelare la mia verità, per il momento. Sappi solo che ti tengo d’occhio. Continuiamo.
Dunque, certo, il contesto: un coniglio in un cappello, un uomo in un pigiama blu. Il cappello su un tavolino. L’uomo su un divano. La data l’ho accennata, così come la domanda. La risposta:
“… va bene, lascia che ti parli da coniglio a uomo, questa volta, sinceramente… le risposte che ti ho dato, vedi, si trattava di giochetti linguistici, futili concetti ingarbugliati. Mi devi scusare… volevo solo metterti alla prova. La verità è che…” me lo diceva sgranocchiando distrattamente una carota di medie dimensioni “… se te lo stai chiedendo, vedi, sei totalmente fuori strada. Totalmente fuori strada… non esiste una risposta alla tua domanda, perché è una domanda senza senso. Ogni risposta che richieda una domanda lo è, in effetti. Una risposta che richieda una domanda non può che essere un giochetto linguistico, oppure un concetto ingarbugliato, spesso entrambe le cose. Ciò che ti dico sempre te lo ripeto anche questa volta: la realtà è là fuori, davvero, ed è esperienza di ciò che accade, e non è una risposta a una domanda”.
Al mio sguardo stupito il coniglio rispose muovendo buffamente le orecchie verso destra, senza aggiungere altro. Allora mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi, provando a percepire ciò che mi stava attorno, liberandomi delle catene del pensiero. Poco dopo sentii il fruscio del suo pelo contro le pareti della tuba, seguito dal tonfo lieve di avanzi di carota buttati sul pavimento.
“Benvenuto:”
“Questa è la tua fortezza. Calda, confortevole: questa è la tua casa.”
“Ora:”
“Con le azioni che compirai, puoi determinarne il destino. Perché anche il muro più spesso se trascurato crolla. E il calore può uscire dalle crepe alle finestre. E ciò che un tempo era gremito può trasformarsi in una tomba silenziosa.”
“Eppure – o forse perciò – i muri dividono e proteggono: puoi distruggerli o renderli più saldi, morire di vento o di aria stantia.”
“Un bastione nella tempesta, sicuro, vita al centro della morte.”
“Una prigione nella brezza, impenetrabile, morte al centro della vita.”
“E se provassi a guardare, per una volta, fuori (oppure dentro), vedresti…”
“…nient’altro che questo:”
“Tutto ciò che sei, sei stato, potrai mai essere. Le prospettive, le speranze, i fallimenti, l’elevazione, la caduta, il bianco oscuro e l’ombra luminosa, la trasformazione e l’immutato.”
Uscì dalla tuba a mezzo busto e sgranocchiò per qualche minuto una carota. Poi vi ribalzò dentro, senza troppi complimenti.
Un normale cappello. Un giorno come un altro.