Trasferimento blog

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Published in: on giugno 2, 2015 at 10:04 am  Lascia un commento  
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Risveglio

Una mano stanca arranca verso una méta sconosciuta
uno sguardo in cerca d’un riferimento nell’oscurità assoluta
e l’incendio squarcia il velo del silenzio e inonda il mondo!
e poi luce fragorosa a scuotere ogni cosa nel profondo!

Con repentina forza acceca la coscienza la visione
colpendo come un pugno l’attenzione
Infine il tocco – un click – di suono e sogno mietitore
e il sole alla finestra ad annunciar l’ennesimo chiarore.

Published in: on dicembre 11, 2014 at 3:04 PM  Lascia un commento  
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Cincìn!

Quando avrà analizzato ogni singolo granello d’umanità nell’Uomo, cosa sarà rimasto dell’Uomo?
Quando avrà posto ogni quadro dietro una teca di vetro cosa sarà rimasto dell’arte?
Definendo, classificando, analizzando l’umanità si uccide l’umanità.
Definendo, classificando, analizzando l’arte si uccide l’arte.
Quando ti avvicini, le imperfezioni appaiono chiare, ma la visione sbiadisce: un quadro impressionista a un palmo dal naso.
Quando socchiudi gli occhi e spegni la luce, le immagini fluiscono e i sogni si trasformano in meraviglia: un insight d’ispirazione mentale e sensoriale.
Armato di lente d’ingrandimento e vocabolari appone etichette: e così definisce la visione e ne distrugge la bellezza. Spargendo macerie storiografiche e trattati la seppellisce di didascalie.
Perché chi apprezza veramente non comprende quasi nulla. E chi comprende completamente non apprezza davvero.
Una pozza d’acqua mossa dal vento sotto un cielo senza stelle: non disturbare la quiete! non intralciare il movimento!
Ma sono milioni, e accendono la luce e imbottigliano l’acqua, ci appiccicano sopra una marca colorata e sostengono che nuvole e brezza abbian creato la bottiglia. Sic transit gloria mundi. Cincìn.

Published in: on novembre 19, 2014 at 2:19 PM  Comments (1)  
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Con gli occhi di un pollo

“Senza paura, dal basso, butta lo sguardo – in una qualche pattumiera – e osserva. Slaccia la mente ignorante e vola… la visione ne guadagna, si fa più nitida, te lo assicuro, e se anche cadi non ti fai male! E’ un viaggio sensuale, per così dire: al di fuori del cervello. E il più verace e straordinario di tutti.”

Così avevo letto, e alzando gli occhi dal libro, pensai: “è un buon consiglio, grazie mille!”.
Due giorni dopo spiccai il volo, solcando la città coperta di smog e solipsismo, un mix caotico di corpi e urbanistica. Volavo qua e là, inseguendo gli uccelli grigi, ed ogni tanto mi appollaiavo su un albero e guardavo in basso. E in basso passava, fra gli altri: un parco, una strada, un giardino privato, un bambino sospinto in avanti da una donna molto più vecchia di lui. Nessuno pareva farmi caso – ma il parco, di tanto in tanto, sorrideva – e io potevo studiare le cose senza essere scorto.
Scesi poi a terra, e passeggiando provai a mischiarmi a loro. “Mischiarsi alle cose” è un ottimo modo per capirle, per scoprirne le sfumature intime, grezze, intricate, meravigliose: che ti colpiscono come acido sugli occhi o velluto sulle guance. E infine, seduto sul prato, confrontai le prospettive: alto e basso, uccello e uomo. Ma il mondo assumeva configurazioni per lo più incomprensibili. E la città… non aveva alcun senso. Le persone non avevano alcun senso. “Il pollo ha ragione?”, mi chiesi, dopo diversi minuti. L’idea era sconcertante. Il pollo l’avevo incontrato in un posto lontano, viaggiando verso ovest. “Il pollo era saggio?”. “Co-co” aveva detto, al principio del nostro primo incontro, un giorno di un tempo lontano, mentre passeggiavamo fianco a fianco su una collina. Mi aveva imbarazzato, quel suo verso. “Co-co”, aveva poi aggiunto, dopo qualche istante, alzando il becco e fissandomi, apparentemente deluso per la mancata risposta.
Tornai al presente.
Sapevo – o meglio, sospettavo – che ogni tanto occorresse uscire di strada: per seguire il dhamma, il Dao, Hakim Bey, il destino, il pollo, o come diavolo lo vuoi chiamare tu, caro lettore. Che “co-co” era un bel verso, e non di rado molto più significativo dei tanti milioni di vocaboli umani. “Co-co” è questo, “co-co” è quello. “Co-co non classifica, co-co è uno”, dissi fra me e me. (Follia?). “Co-co” non era radiatore, ortaggio, amore, navigare, costipazione, martellare, imprescindibile, lussuria, vago, ventotto, rinoceronte, soprammobile, fachiro, ingenuità, arma-di-distruzione-di-massa, stronzo, clorofilla, marmellata, transustanziazione, neo, mattonella. Non era nessuna delle mille distinzioni. “Co-co” era tutto, ed era armonia. Quindi “co-co”, con moderazione, si doveva dire e faceva bene, perfino in risposta a un pollo. Ne ero ormai convinto e, avvicinando un uomo basso con un cappello triste, gli dissi con entusiasmo: “se anche – sfortunatamente – viviamo in un mondo di uomini – e a volte lo siamo persino, umani –, e occorre parlare la lingua complessa del tutto-è-distinto-da-tutto, bè, non importa. La realtà si può cambiare, sempre! Occorre solo credere in un’altra realtà. E agire come se fosse lì. A quel punto ‘co-co’ può davvero essere un fiore o una palla da bowling, o un cacciavite. Non trova? Cosa ne pensa dei polli, lei?”. Per qualche ragione l’uomo accelerò il passo e, senza rispondere, girò l’angolo e si allontanò.
Continuai a passeggiare e a osservare, e infine mi levai nuovamente in volo, chiudendo la mente e aprendo i sensi. E volai in alto, sempre più in alto, pensando alla voce del pollo. E dopo un tempo imprecisato, all’improvviso, senza sapere realmente come, avevo abbandonato il sopra-sotto convenzionale e mi trovavo circondato da un cielo diverso, color terriccio, che mai avevo visto prima. Mi appollaiai su di una stella lignea e abbassando lo sguardo scrutai l’universo, dicendo e ridicendo “co-co” fra me e me e al vento… poi volsi lo sguardo in alto, e lassù ravvisai fra nebbia e fumo la città inquinata da uomini e macchinari e chimica e suoni. “Co-co”, pensai. Una città. “Co-co”. Un’automobile. ”Co-co”. Un signore di mezza età che cammina su un marciapiedi. “Co-co”. Una pozzanghera… e un centro commerciale e un bambino, una signora, un ospedale, un albero. “Co-co”. “Co-co”. “Co-co”. E dimenticai tutto. E vidi ogni cosa. E il sotto-(è)-sopra e il sopra-(è)-sotto trasmutarono e turbinarono d’un tratto in ogni-direzione, e avevo smesso di volare, e mi libravo a mezz’aria senza muovere un muscolo. Così mi svegliai dal sonno degli uomini. Ma, si sa, al sogno non si sfugge, ed eccomi di nuovo qua, nella dimensione onirica, a scrivere frammenti multicolore di quella realtà, così vivida e meravigliosa. Proprio così.

Un cerchio che si (s)chiude

Affascinante, elegante, brillante, luminoso, intrigante, lucido e molto, molto altro!

Tu corri, t’informi, ascolti, acquisti, insegui, speri. Strattoni il dopo nel presente.

Il tempo. E ancora. Una routine. Forse lo vedi o forse no. Lì fuori, guarda, ma ciò che è dentro lo cambia, lo rende importante.

O dentro, e ciò che è fuori è solo un pretesto, e potrebbe  essere finanche un vecchio arnese, o una conchiglia.

Sei tu, comunque, ed io, e quasi tutti. Lo sai, è difficile sfuggirgli. La cella è troppo, troppo confortevole, ed ho paura di evadere.

Intanto gli innumerevoli altri supportan la speranza con unghie e lime. Ecco la chiave, fra denti e lingua, ma non so usarla.

Un muro separa due prigioni opposte e connesse. Una grande, immensa, e l’altra… Un bambino mi guarda e piange, o forse uno specchio nella pioggia.

Il muro diventa un giardino, e un verme si scava un’evasione al cielo mentre un merlo insegue il suo pasto.

La vita continua, e basta. Tutto qua.

 

 

Published in: on settembre 19, 2014 at 2:50 PM  Lascia un commento  
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Vi dico ciò che penso adesso

Esistono varie strategie per conservare un segreto. Le principali sono: il silenzio di chi sa, la scarsa importanza dello stesso – che porta all’indifferenza e poi alla dimenticanza – e infine la sua eventuale natura improbabile. Nell’ultimo caso di solito chi conosce il segreto non si ingegna particolarmente a nasconderlo, consapevole che se pure la notizia venisse diffusa nessuno comunque vi crederebbe. I conigli-mentori-custodi sono, insieme al Santo Graal e  alla ricetta dei “malfatti” di mia nonna, fra i più improbabili dei segreti… così questo blog esiste per due ragioni: perché loro esistono e perché voi non lo credete possibile.

Distacco. Aneddoto. Una volta un uomo con barba e cappello, sulla cinquantina e occhi stanchi, mi ha chiesto sull’autobus che ora fosse. “Una domanda del genere è passata dall’essere consueta all’essere inconsueta”, pensai. Era il 2008, o il 2009. Piccola città nel nord Italia. Chi continua a farla dopo l’anno 2000, imperterrito nel suo anacronismo, può suscitare sorpresa nel suo interlocutore. Guardai il cellulare. E’ ciò che il sociologo Goffman definiva “rompere il gioco delle aspettative” – ma le parole usate non erano queste -, lo stracciare il copione e l’uscire dal personaggio che in quella situazione-epoca-luogo è normale recitare. Forse quando avrò cinquant’anni, la barba e il cappello sarà normale chiedere a un ragazzo sull’autobus che ne pensa il suo coniglio del risultato delle elezioni comunali del 2040. Lui potrebbe rispondermi in modo naturale, magari un po’ annoiato, sicuramente sollevato del fatto che la domanda non verta sull’ora.

Filosofia. Riflessione sicuramente spiccia. Il segreto è una cosa da non dire in campagna elettorale, una verità scomoda. Il compito della politica è sostanzialmente separare le persone dai segreti, la tattica è di certo il silenzio di chi sa, e a volte convincere il pubblico che tutto sia alla luce del sole. Teorie del complotto: David Icke, i rettiliani, le scie chimiche, i malfatti di cui sopra, altre cose che ora-non-ricordo. Tentano di normalizzare il segreto. Il problema del segreto è che se non ne sei a conoscenza non sai se esiste. Può essere una perdita di tempo, o una rivoluzione.

Sogni. La gente li tiene nel cassetto. Lavora una vita per trasformarli in una realtà tangibile. A volte se ne vergogna e compra cassetti rinforzati, per trasformare i sogni in segreti. Strano: la vergogna passa quando il sogno diventa reale. E’ l’imbarazzo dell’immaginario.

Tangenziale. Perché tangenziale?

Obiettivi. Per ora imparare lo spagnolo, già che qui lo parlano (finestra sul reale).  La biblioteca ha i tavoli di legno. Fuori alberi.

Ho visto la realtà

Ho visto la realtà

e aveva l’apparenza di una bimba stanca

col viso truccato da puttana

Ho visto la realtà

e accortasi del mio sguardo lei mi ha lanciato un’occhiata fredda

sputando a terra il suo disdegno

Ho visto la realtà

e dopo pochi istanti dalla saliva è cresciuta una pianta secca

e in ogni foglia impresso come un timbro un volto umano

Ho visto la realtà

e gli occhi della bimba adesso sorridenti,

ma di uno sorriso adulto, decadente

Ho visto la realtà

ma come un sogno la pelle ha iniziato a irrigidirsi

e le pupille a congelarsi

e il corpo a sigillarmi in una forma non più mia

Ho visto la realtà

e in quell’istante capovolto rispetto al mio consueto sguardo

innumerevoli foglie ho accompagnato in volo

ora lo so, incoscienti

verso un vorace cielo color terriccio.

Published in: on marzo 11, 2014 at 1:43 PM  Comments (2)  
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Scorre il tempo

Il tempo è trascorso ai margini del vecchio fiume

e dalla fonte lontana alla valle

nessuno ne ode più il nome…

eppure si porta quell’acqua in spalle

la polvere stanca  di un’era passata

che ancora fra i flutti rammenta il dolore

sul volto dell’ultimo uomo in cravatta

che muore.

Published in: on marzo 11, 2014 at 10:47 am  Comments (7)  
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Niente domande, umano!

Gli avevo domandato più volte cosa fosse la normalità. Una cosa non comune da chiedersi a un coniglio che vive in un cappello, ne convengo, ma ormai ero abituato a quello strano compagno di discussioni, e la sua presenza non mi appariva più tanto assurda come un tempo.

Comunque, lui mi aveva sempre risposto, o per meglio dire quasi sempre – quando non era stato troppo impegnato a dormire o a sgranocchiare una carota – e la sua risposta era sempre stata differente. Una volta, ad esempio, mi aveva detto che la normalità è semplicemente “quello che le persone credono sia normale. Niente di più, niente di meno”; un’altra, aveva sostenuto che si trattasse in realtà della “mediocrità che la società ci impone come stile di vita dominante. Spezzare le catene di questa schiavitù simbolica è la sfida che distingue l’uomo comune dal genio!”. Questa in particolare me l’ero segnata, molto significativa davvero; o ancora: “è il mondo reale visto con le lenti della tradizione”; oppure: “è l’insieme delle più tremende menzogne, che la gente rende vere attraverso l’aggregazione di miriadi di opinioni false che vanno nella stessa direzione.”; ecc. ecc. ecc.

Infine, un pomeriggio di inizio dicembre, ovvero qualche giorno fa, mi diede questa ris… no, un momento, aspettate, fermiamoci un attimo qui. Rompiamo lo schermo e guardiamoci in faccia, io e te, lettore. A questo punto potresti pensare: a) che questa, come le precedenti, sia una storiella allegorica, e che i conigli parlanti non esistano affatto b) che io abbia un coniglio parlante immaginario come interlocutore, una sorta di psicosi filosofica c) che i conigli parlanti esistano realmente, e io sia uno di quei pochi privilegiati a cui rivolgono la parola.

Bene, ora ritorno da questa parte dello schermo, senza svelare la mia verità, per il momento. Sappi solo che ti tengo d’occhio. Continuiamo.

Dunque, certo, il contesto: un coniglio in un cappello, un uomo in un pigiama blu. Il cappello su un tavolino. L’uomo su un divano. La data l’ho accennata, così come la domanda. La risposta:

“… va bene, lascia che ti parli da coniglio a uomo, questa volta, sinceramente… le risposte che ti ho dato, vedi, si trattava di giochetti linguistici, futili concetti ingarbugliati. Mi devi scusare… volevo solo metterti alla prova. La verità è che…” me lo diceva sgranocchiando distrattamente una carota di medie dimensioni “… se te lo stai chiedendo, vedi, sei totalmente fuori strada. Totalmente fuori strada… non esiste una risposta alla tua domanda, perché è una domanda senza senso. Ogni risposta che richieda una domanda lo è, in effetti. Una risposta che richieda una domanda non può che essere un giochetto linguistico, oppure un concetto ingarbugliato, spesso entrambe le cose. Ciò che ti dico sempre te lo ripeto anche questa volta: la realtà è là fuori, davvero, ed è esperienza di ciò che accade, e non è una risposta a una domanda”.

Al mio sguardo stupito il coniglio rispose muovendo buffamente le orecchie verso destra, senza aggiungere altro. Allora mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi, provando a percepire ciò che mi stava attorno, liberandomi delle catene del pensiero. Poco dopo sentii il fruscio del suo pelo contro le pareti della tuba, seguito dal tonfo lieve di avanzi di carota buttati sul pavimento.

Published in: on dicembre 6, 2013 at 9:05 PM  Lascia un commento  
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Verdetti

“Benvenuto:”

“Questa è la tua fortezza. Calda, confortevole: questa è la tua casa.”

“Ora:”

“Con le azioni che compirai, puoi determinarne il destino. Perché anche il muro più spesso se trascurato crolla. E il calore può uscire dalle crepe alle finestre. E ciò che un tempo era gremito può trasformarsi in una tomba silenziosa.”

“Eppure – o forse perciò – i muri dividono e proteggono: puoi distruggerli o renderli più saldi, morire di vento o di aria stantia.”

“Un bastione nella tempesta, sicuro, vita al centro della morte.”

“Una prigione nella brezza, impenetrabile, morte al centro della vita.”

“E se provassi a guardare, per una volta, fuori (oppure dentro), vedresti…”

“…nient’altro che questo:”

“Tutto ciò che sei, sei stato, potrai mai essere. Le prospettive, le speranze, i fallimenti, l’elevazione, la caduta, il bianco oscuro e l’ombra luminosa, la trasformazione e l’immutato.”

Uscì dalla tuba a mezzo busto e sgranocchiò per qualche minuto una carota. Poi vi ribalzò dentro, senza troppi complimenti.

Un normale cappello. Un giorno come un altro.

Published in: on novembre 22, 2013 at 3:54 PM  Lascia un commento  
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