Viviamo sempre più nel futuro e sempre meno nel presente. Facciamo progetti su ogni cosa, pianifichiamo la nostra vita cercando di incanalarla verso sentieri di benessere per noi e per le persone a cui vogliamo bene.
E lo inseguiamo ovunque, il benessere: in palestra o in un negozio di vestiti, seduti al tavolo di un bel ristorante o sfogliando inserzioni di lavoro. A volte, non riuscendo a raggiungerlo, montiamo pacchi e valige e partiamo alla sua ricerca. Dopo anni di inseguimenti, molti di noi si rassegnano al fatto che esso sia irraggiungibile, o che si tratti di una mera questione di obiettivi non raggiunti e sogni irrealizzati.
Eppure, e non è mai troppo banale ribadirlo, di rado lo ricerchiamo dentro noi stessi.
Per le dinamiche di pensiero che ci caratterizzano, noi esseri umani tendiamo continuamente a espandere l’orizzonte dei nostri desideri così che, una volta raggiunto un obiettivo, ce ne dimentichiamo presto, dandolo per scontato. Tale meccanismo, sebbene abbia contribuito a condurci verso sviluppi tecnici e culturali tali da consentirci oggi l’accesso a stili di vita ben più agiati di quelli cui potevano accedere i sovrani di tempi nemmeno troppo remoti, ci ha al tempo stesso spinti a identificare il benessere con la soddisfazione di desideri infiniti, incatenando così la nostra felicità a quel continuo inseguimento del di più, del meglio e del nuovo che ci impedisce di godere appieno di ciò che già possediamo (in termini sia materiali che relazionali).
Di nuovo, sembra una concetto banale, di cui tutti sono più o meno consapevoli. Eppure in pochi agiscono di conseguenza.
Ma che cosa significa agire di conseguenza?
Innanzitutto significa prendere coscienza del fatto che il benessere è uno stato e non un processo, e che in quanto tale esso può essere realizzato qui e ora, con difficoltà maggiori o minori a seconda del punto di partenza psicofisico del singolo individuo.
In un certo senso un primo requisito per trovare un equilibrio ed un benessere reali e duraturi è smettere di cercarli. Occorre abbandonare sia le speculazioni e le speranze del futuro, sia le invidie e gli egoismi del presente. Non significa tuttavia rinunciare ad ogni cosa per andare a vivere in un eremo, e nemmeno rinunciare ai propri sogni. Semplicemente implica il tentativo di distaccarsi da queste cose emotivamente e, per quanto possibile, ritornare a vivere il presente percependone la bellezza.
Naturalmente se tutto ciò fosse facile da realizzarsi saremmo probabilmente già tutti dei buddha, e il mio discorso non avrebbe più alcun senso. Dunque occorre necessariamente scendere nella pratica, e provare a vedere se si può fare qualcosa a riguardo.
Fortunatamente la terra del benessere e dell’equilibrio psicofisico non è una Nuova America: in molti l’hanno solcata in passato e in molti la solcano nel presente, e le loro impronte sono ancora ben visibili sul selciato e possono essere seguite da tutti. Il primo passo, l’abbiamo detto, è la presa di coscienza di come stanno le cose: la struttura del desiderio e la vanità del suo incessante inseguimento.
Il secondo è agire di conseguenza. Il percorso da seguire è una pluralità di percorsi possibili, ma tutti possono essere resi più agevoli se coordinati in due dimensioni: la dimensione relazionale e la dimensione personale.
Sulla prima si può agire ad esempio attraverso l’affiliazione a gruppi di persone che perseguono uno stile di vita più lento e rilassato. Questi possono essere differenti per caratteristiche e finalità: associazioni di acquisto equo e solidale, reti di volontariato, circoli culturali basati sulla condivisione e il dialogo, movimenti di consumo critico o di matrice ecologista ecc.
All’interno della dimensione relazionale rivestono naturalmente grande peso anche la struttura delle reti relazionali individuali preesistenti (e in particolare amici, familiari e colleghi di lavoro), le dinamiche mediante le quali l’individuo interagisce con esse e lo stato psicofisico dei loro componenti: individui stressati, nervosi e freneticamente attivi oppure al contrario apatici e rassegnati, possono seriamente compromettere l’equilibrio e il benessere delle persone con cui entrano quotidianamente in contatto.
Vi è poi la dimensione personale, centrale in qualsiasi via che punti al benessere. Il lavoro sulle proprie abitudini e convinzioni radicate – spesso a livello inconscio – può essere difficile, ma i primi passi sono certamente i più importanti, e fra questi è senz’altro essenziale il primo: prendere la decisione di fare qualcosa, e farla.
A prima vista verrebbe da dire: “io prendo continuamente decisioni e le metto in pratica”. Eppure se pensiamo a quante decisioni sono dettate dai nostri desideri del presente e del futuro e quante puntano invece ad un benessere duraturo, ci rendiamo conto che la maggior parte di noi in realtà non prende decisioni e non agisce, bensì subisce input esterni o interni e li mette in atto meccanicamente.
Per mille persone che decidono di agire nella giusta direzione, comunque, sono veramente poche quelle che poi effettivamente lo fanno: basta vedere quanti milioni di copie vendono i libri sul miglioramento personale e assistere al parallelo incremento nelle vendite di psicofarmaci e nell’uso di droghe. Il problema, va ribadito, non è la mancanza di strumenti: ve ne sono a centinaia, e la maggior parte di essi sono facilmente accessibili a tutti; il problema è che non ce ne rendiamo conto o non siamo in grado di coglierli e utilizzarli.
Solo per citare alcuni esempi, fra gli strumenti e pratiche utili che attengono alla dimensione personale troviamo: la meditazione, passeggiate più o meno lunghe a contatto con la natura, la riconsiderazione del proprio tempo libero a favore delle relazioni piuttosto che dei consumi, il volontariato e il mantenimento di una dieta equilibrata.
Dunque il mio appello è il seguente: agite, agite, agite. Un benessere reale e duraturo è possibile e non dipende affatto dal vostro conto in banca o dalla vostra formazione professionale. Lasciate perdere le belle parole e i bei concetti: essi da soli non possono apportare alcun cambiamento significativo nelle vostre vite. Una sola persona può farlo, e siete voi stessi. Abbandonate la sedia, spegnete il computer e respirate. Spezzate il circolo dell’ozio, oppure spezzate il circolo dell’attività frenetica: entrambi sono senza uscita.
Ma ho già parlato troppo, e qualsiasi riga ulteriore sarebbe superflua.
Vi lascio invece con una breve storia Zen, che ben coglie il senso di quanto detto sinora.
In un sutra, il Buddha raccontò una parabola: un uomo che camminava per un campo si imbatté in una tigre. Si mise a correre, tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando, l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, un’altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L’uomo scorse accanto a sé una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altra spiccò la fragola. Com’era dolce!
A presto!